Carrie Bradshaw e compagne non hanno detto proprio niente di nuovo! Le quattro “ragazze” che sorseggiano i loro Cosmopolitan a fine giornata, vestite nei loro splendidi abiti non sono così tanto diverse dalle donne degli anni Cinquanta; al posto del Cosmopolitan magari c’era un Martini ghiacciato, ma questo poco importa. L’aperitivo è sempre stato un modo per mettersi in mostra, sfoggiare gli abiti e gli accessori migliori; non ha niente a che vedere con le funzioni fisiologiche del bere e del mangiare. Il momento dell’aperitivo serve a darsi un tono e socializzare.
Il boom avviene negli anni Cinquanta, con la fine della guerra, l’avvento della dolce vita, il “new look” di Dior e la ricerca di una femminilità perfetta.
Le donne in quegli anni diventano ossessionate dal culto della bellezza; si doveva essere perfette, impeccabilmente truccate, con l’acconciatura sempre in ordine e vestite con abiti dagli opulenti tessuti. E quale poteva essere il momento migliore per ostentare tanta perfezione, spesso maniacale, se non l’aperitivo?
I caffè storici di Parigi e soprattutto di Roma, che in quel periodo era la città della “dolce vita”, erano un tripudio di bicchieri da Martini con l’oliva, di gonne a corolla di Christian Dior, di giacche in tweed di Chanel (con annesse borse métalassé) e di cinte con il nastro verde-rosso-verde firmate Gucci. C’era la gente che contava a sorseggiare l’aperitivo; i fotografi lo sapevano e accorrevano a inondare di flash quelle persone che non aspettavano altro che essere immortalate in tutta la loro bellezza costruita. Tutto era patinato e messo bene in mostra, e si cercava qualsiasi éscamotage pur di essere al centro dell’attenzione. ||L’approvazione e accettazione era fondamentale per sentirsi parte del gruppo che contava; l’aperitivo era uno dei momenti più sociali della vita dell’uomo, ma soprattutto della donna che indossava gli abiti migliori per farsi notare, flirtare e apparire. Oggi l’aperitivo ha più o meno la stessa funzione, ci si veste bene per sorseggiare un Negroni e mettersi in bella mostra. Il modo di concepire l’abito è cambiato: prima si ostentavano l’opulenza e la perfezione sartoriale degli abiti e non l’etichetta, adesso la marca è la prima cosa che si vuole far vedere a discapito della qualità. Prima s’indossava con gran classe un Valentino, un abito couture di Balenciaga, una stampa Pucci o ci si chiudeva in una forma strizzata di Jacques Fath; ora le griffe vengono gridate in maniera sguaiata da borse, t-shirt e accessori vari. Non si cerca l’approvazione, la si ottiene da soli nel momento in cui si porta al braccio una borsa di Vuitton (magari anche falsa, ma l’importante è che faccia apparire). Prima la bellezza perfetta si curava con le creme, i trucchi, la cipria, adesso sfocia in una ridicola overdose di botox.
Negli anni Cinquanta c’era tutta una preparazione all’aperitivo fatta di estrema cura per i dettagli e con altri meticolosi riti, come la scelta dell’abito da cocktail e del cappellino da abbinare; mentre ora tutto è lasciato nelle mani del cattivo gusto e della poca eleganza.
Si è perso il fascino dell’aperitivo.
Si è persa l’importanza di un bicchiere da Martini!
Photo // Tom Hilton