Appostamenti sui confini fra arte e psicosi nella collezione Prinzhorn
Paul Klee, parlando del linguaggio figurativo nelle sue opere, annotava in un suo diario: “Io scrivo le parole sulla fronte e agli angoli della bocca”. Più o meno nello stesso periodo, era il 1920, Hans Prinzhorn scrisse ai manicomi di Austria, Germania e Svizzera per informarli che aveva intenzione di assemblare “disegni, dipinti e sculture di malati di mente, che non siano semplici copie o espressioni di ricordi, di giorni migliori, ma della loro esperienza della malattia”. Due figure come due predicati di un linguaggio non più soggetto alla norma del comprensibile.
Psichiatra dell”università di Heidelberg, quella di Prinzhorn è una figura complessa: animato sia da interessi scientifici che artistici, è un uomo immerso nel clima convulso dell’epoca, sensibile alla causa dei movimenti d’avanguardia delle quali condivide le aspirazioni, quelle di una generazione di artisti a cui egli stesso, per affinità culturale, appartiene.
Sulla linea comparativa con l’arte primitiva e infantile, fino al 1922 ha raccolto e analizzato le opere prodotte da varie tipologie di malati di mente ospiti in istituti psichiatrici, giungendo poi a tracciare una relazione tra attività artistica e componente schizofrenica della personalità di alcuni grandi artisti della modernità, in particolare di una decina di “grandi maestri schizofrenici”, tra i quali Van Gogh, Kubin, Ensor, Kokoschka, Nolde.
L’idea di valutare senza pregiudizi l”espressione artistica che nasce dal disagio e dalla sofferenza psichica è comune a molti artisti del ‘900, ma Prinzhorn è il primo a stilare uno studio esaustivo e scientifico su un numero significativo di soggetti, mettendo insieme una collezione di art des fous di circa 5000 pezzi realizzati da circa 450 autori. La Collezione divenne subito nota tra gli artisti delle avanguardie: Paul Klee, per l’appunto, la conosceva direttamente, così come Ernst e tanti altri.
Nella sua indagine sul delicato confine tra arte e follia, l”affinità tra il sentimento del mondo schizofrenico e quello che si manifesta nell”arte contemporanea può essere descritto con gli stessi termini, e come lui stesso scrive a proposito di questa convergenza di linguaggi con le tendenze culturali del tempo, “sentiamo ovunque un gusto istintivo per la particolarità, che conosciamo bene negli schizofrenici”
Prinzhorn è particolarmente interessato al parallelo con l”arte espressionista, nella quale individua la tendenza al gioco, l”elaborazione ornamentale e la capacità di strutturazione ordinata con una marcata espressività. Ma la differenza tra l’opera di un artista “sano” e di uno schizofrenico è ben tracciata, individuabile nel fatto che lo schizofrenico esprime un sostanziale rifiuto alla comunicazione, con una totale impermeabilità nei confronti dell’esterno e crea senza scopo né significato, in modo puramente ludico. Se attraverso questo percorso di opere si nasconda o meno il seme del genio, se in qualche caso sia possibile imbatterci in un’ opera d’arte o in un semplice scarabocchio su carta senza altro significato, questo Prinzhorn non lo dice e noi stessi prendiamo congedo con lui dalle questioni della critica, lasciandoci suggestionare dall’idea che la malattia è uno dei modi per essere artisti quanto lo è per essere uomini.