La moda come la musica si fonde e si confonde per trovare sempre nuove forme e ambiti per esplicitarsi. Si ispira (se non ruba) alla natura, fornendo alla natura stessa sempre nuove e personali interpretazioni.
Nella storia della musica la parola “Camouflage” è stata usata almeno una decina di volte, come titolo di canzoni, come nome di artista (band tedesca, genere synth-pop) o addirittura come Title Track di un album di Rod Stewart del 1984.
Storicamente quasi ogni sottogenere musicale è stato saccheggiato dalla moda, in alcuni casi in maniera costruttiva e preservandone il messaggio iniziale, in altri stravolgendolo completamente attraverso una conveniente decontestualizzazione e trasponendo in maniera semplice, senza quei filtri generati dal reale interesse, a comprendere i movimenti e gli ideali ai quali il genere s’ispirava e dal contesto sociale in cui aveva attecchito.
Volendo rimanere nell’ambito del “contemporaneo” potremmo affermare che la musica elettronica è la musica che più si avvicina al concetto di “camouflage”.
Mischia ritmi tribali a sonorità popolari e un cantato ripetitivo come un mantra, a voci che sembrano venire dall’aldilà, trasmettendo una dimensione primordiale e sconosciuta ma in un certo senso familiare al nostro “Es”.
La musica elettronica attinge molto più di quanto non si possa sospettare dal passato, basti pensare ai veri padri dell’elettronica come Raymond Scott o alla leggendaria Kamer 306 all’interno degli studi Philips di Eindoven, dove tra il 1956 ed il 1960 si sperimentava “musica elettronica popolare”. I genitori dei Kraftwerk all’epoca non erano nemmeno fidanzati.
Tutta la musica è fatta di corsi e ricorsi storici come del resto la moda.
“Camuoflage” significa anche riconoscibilità, considerando che questo tipo di fantasia deriva da l’utilizzo di tessuti con particolari motivi mimetici in ambito militare, che servono si a mimetizzarsi a seconda del luogo in cui ci si trova, ma allo stesso tempo serve anche a farsi riconoscere dai commilitoni.
La musica stessa, nei suoi vari generi, più volte ci ha aiutato a camuffarci all’interno dello spazio che ci ritagliamo nella società, come spesso allo stesso tempo ci aiuta a identificarci e a farci identificare dagli altri.
A volte basta una canzone postata sulla pagina di un social network o la maglietta di una band a far si che il nostro messaggio venga lanciato, a far si che chi legge ci riconosca e ci identifichi con quella forma espressiva e con quello stato d’animo, quasi a sciorinare una certa “appartenenza” che spesso è carente di stratificazione culturale.
Ascoltavamo i Duran Duran, indossavamo divise fatte di scarpe con la suola a “carro armato” e piumini sgargianti; poi dopo meno di un anno i capelli erano cresciuti, il guardaroba si era improvvisamente scurito e riempito di jeans larghi e sfondati a mano in casa, con pietre pomici e grattugie, le basketball di tela diventavano un must e la camiciona di flanella prendeva il sopravvento.
Storicamente basta una divisa per mimetizzarsi facendosi allo stesso tempo riconoscere da branchi sempre nuovi e che sempre meno ci somigliano davvero. Una nuova maschera per nascondersi, per poi in fondo voler essere al centro della scena a tutti i costi.
Finiremo col somigliarci tutti e somigliarci troppo?
Discografia selezionata : Rod Stewart – Camouflage, Raymond Scott – Lightworks , Camouflage – Love is a Shield , Duran Duran – Rio, Nirvana – Big Cheese.