Tagliare, distruggere, per poi capovolgere e sovrapporre; questo è il Punk. Come i Dadaisti con Duchamp, o Lucio Fontana con il suo sfogo che si tradusse in un taglio, così, l’eclettica Madame Westwood, riempie i suoi abiti di concetti ed emozioni, fatti di vestiti strappati e schizzi di vernice.
Siamo a Londra alla fine degli anni Sessanta, dove gruppi di giovani uniti da uno spirito nichilista e anarchico sognano una società nuova, libera dalla vecchia generazione così bigotta, così inglese. Fin da giovane la ragazza dai capelli rosso fuoco farà una scelta, quella di affiancare Malcolm McLaren, l’unico in grado di aver colto il movimento Punk oltre oceano, per poi importarlo in Inghilterra.
Lo spirito sovversivo, unito ad una singolare aggressività, riflette fin dall’inizio il linguaggio di una nuova generazione. Lontano dall’esaltazione dei canoni tradizionali di bellezza, il Punk si fa portavoce di una nuova immagine, che distrugge e uccide per poi generare una tendenza ad una vita che adotta come credo una cultura del rifiuto. Un suono potente attraversa il grigiore di un’esistenza triste e senza speranza.
È il suono della musica dei Sex Pistols, celebre band inglese, capitanata dal tanto chiacchierato Sid Vicious che attraversa la città di Londra con la memorabile ”God Save The Queen”. Sin dall’inizio Vivienne Westwood, la stilista personale del famoso gruppo punk–rock, non ha fatto altro che rompere i limiti del tempo, esplorando la morte, alla ricerca di una nuova strada da percorrere.
La regina del Punk reinterpreta il nero, che assume una nuova valenza, di una morte dei sensi e un’improvvisa rinascita, e si traduce come fine di un’epoca e il tanto aspettato inizio di una nuova. E per farlo non resta quindi che allearsi con la morte stessa, diventarne amica, e tentare il salto nel buio, per entrare in una realtà un pò sporca, in disordine e sbrindellata, con una luce e una intensità cromatica diversa all’occhio umano.
Illustrazione di Erica Sutton