“Quando ero bambina c’era una donna che camminava nel nostro quartiere spingendo una carrozzina. Indossava un velo nero sul viso. In effetti tutto ciò che indossava era nero. La memoria di questa donna ancora mi è rimasta dentro. Chi era? Si mormorava che avesse perso un bambino e per questo fosse diventata pazza. Stranamente, ogni volta fossi da sola, questa donna girava l’angolo, ed io ero terrorizzata al punto da non riuscirmi a muovere finchè non fosse passata. La vita continuava a cambiare, ma lei rimaneva congelata in un mondo che aveva creato per se stessa. Ricordo ancora quanto fosse bella da giovane; provo a immaginare la sua espressione nel momento in cui decise di coprire per sempre la sua faccia. Alle persone piace pensare che nell’immaginario infantile, la paura risieda in mostri immaginari, ma guardando il mio passato, niente mi impaurì di più della donna con il velo; perché anche se ero una bambina, ho compreso quanto fragili siamo, e quanto la linea tra il sano e la pazzia possa essere molto piccola”. THE VEIL feat Junya Watanabe.
La paura più grande dell’uomo è stata sempre rappresentata dallo sconosciuto, dall’inesplorato e imprevedibile: la morte. Rappresentazioni estreme, crude, o semplicemente spirituali, hanno cercato di raccontarci come questo “tragico” evento possa essere chiarito. Quadri, piuttosto che rappresentazioni grafiche, scultoree, ci hanno descritto la morte; ma la cinematografia rimane ancora la fonte più tangibile a livello sensoriale.
Nella moda diversi videografi in collaborazione con i più svariati stilisti, ci hanno raccontato questa visione, cupa alle volte come nel testo in riferimento al video “the veil” precedentemente citato, o più angeliche ma allo stesso tempo inquietanti.
La nuova frontiera è il cortometraggio, interpretato in chiavi diverse; c’è chi come Ann Demeulemeester riproduce la più classica delle situazioni. Una stanza malmessa, un letto, un uomo, un televisore rotto e una donna che lo fissa. L’inquietudine cresce assieme al rumore delle interferenze della scatola nera che fa muovere la donna, in modo flessuoso ma scattante; aggraziato ma angoscioso. Abiti color nudo, con trasparenze e sfilacciamenti, che scoprono il corpo, ma allo stesso tempo lo avvolgono in una seconda pelle.
Hussein Chalayan ribalta la filosofia, creando un corto dal sapore noir, in chiave anni ’90. Geometrie incorniciano colori pastosi e accesi, quali blu elettrico e giallo limone, che accarezzano la silhouette della giovanissima modella, in vasca da bagno. Le due figure adulte, in nero, contrapposte alla fanciullezza della ragazzina, avvolta nel colore, ricordano una versione moderna dell’antitesi della figura materna, in contrapposizione con i figli, tipica del grande maestro del giallo, Alfred Hitchcock.
C’è chi invece utilizza un linguaggio più etereo, dipingendo la morte di bianco. Nel video interpretanto dalla bellissima Natasha Poly, si assiste a duna mutazione del corpo; lo sdoppiamento di se, per una vita ultraterrena, nella quale la propria immagine è distorta, impenetrabile anche da noi stessi. In cui la personalità in tutte le su più svariate sfaccettature, riconosce la sua natura più vera ed esce fuori, urlando. La calma dopo la tempesta, in un immaginario fantasma, evanescente, etereo.
La morte, è un viaggio alla scoperta di noi stessi, delle nostre paure; ci impara a riconoscerle, apprezzandone anche se con inquietudine, la natura più vera.
Illustrazioni di Erica Sutton