Morte tra arte e anatomia

Due artisti diversi per nazionalità, formazione e per il modo di creare pezzi d'arte. Tra richiami al concetto di morte, vanità e sensualità; Fernando Vicente e Benedetta Bonichi, si fanno portatori di un genere d'arte ancora tutto da scoprire.

Due formazioni opposte, due nazionalità diverse, ma dei capolavori che potrebbero appartenere a uno di loro soltanto. Si potrebbero definire artisti scienziati, Fernando Vicente e Benedetta Bonichi che con le loro opere, conosciute in tutto il mondo, partono dalla stessa intuizione per ottenere due risultati tanto diversi quanto simili al tempo stesso.

Macabro e sexy si fondono per rivelare i lati più bui di ogni persona.

Fernando Vicente è un illustratore spagnolo attivo dagli anni ’80 ed espone al Sen e al Sins Entido di Madrid oltre a collaborare con riviste come COSMOPOLITAN e con il quotidiano El Pais. Vanitas è uno dei suoi capolavori più noti grazie al quale sono venuta a conoscenza di questo singolare artista.  L’analisi della bellezza femminile in Vanitas è affrontata da un punto di vista macabro forse per alcuni osservatori anche un po’ rivoltante. Donne in pose da pin-up con gli organi che fuoriescono dal loro corpo “trasparente” con un alternarsi di colori caldi e freddi del corpo umano.

Un elogio all’anatomia prima ancora che alla vanità; una pittura illustrativa piena di pathos e di erotismo, fatta di ritratti tra il mostruoso e il sensuale, come se la scarnificazione della pelle rafforzasse l’idea di erotico.
All’anatomia della donna bella e inquietante di Fernando  Vicente, Benedetta Bonichi contrappone una fusione tra radiografia e fotografia digitale. Alcune delle opere di questa artista italiana hanno ispirato stilisti come Christian Louboutin, scrittori e coreografi e hanno fatto il giro di musei nazionali come il MAC a San Paolo, il MACRO a Roma, la Pharos Trust Foundution a Cipro e al museo Wilfred Law a La Habana.

Bonichi si imbatte in un linguaggio fatto di ombre e giochi di luce; nascono così le sue prime radiografie. “La radiografia”, dice Benedetta Bonichi, “è l’unico mezzo possibile per leggere la realtà attraverso la materia, anziché la luce”. Grazie alla collaborazione di istituti di ricerca e universitari, quest’artista riesce  ad esprimere le proiezioni dell’ombra privilegiando l’oscuro, tutto quel mondo interno che rimane nascosto e che solo attraverso i raggi X riesce ad illuminarsi e quindi essere percepito anche al mondo esterno. In questo caso Benedetta Bonichi usa la radiografia nell’abito dell’arte collegandola alla malattia e alla morte e mette a nudo carne, pelle, ossa, e qualsiasi altra cosa la persona indossi.

Per Benedetta la filosofia è alla base  dei suoi lavori per cercare di rispondere a delle domande frequenti nella sua mente: “cosa sono le persone? Sono fantasmi? Sono vivi o morti? Chi sono?” e la radiografia le sembra lo strumento più chiaro per svelare i corpi, per tentare di dare forma alla morte.

Morte e vita due stati di essere?

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