La Biennale di Malindi

La terza biennale di arte contemporanea di Malindi in Kenya apre le porte ad un'arte che vede, e crede, nell'unione di diverse culture per dar vita a qualcosa di unico ma allo stesso tempo globale. Dal nomadismo alle tribù, soprattutto artisti africani e italiani, hanno potuto mettere in mostra la loro vena artistica creando un ponte tra le proprie radici e culture, e il resto del mondo. Una manifestazione curata dal critico d'arte Achille Bonito Oliva per rendere omaggio al giornalista Pietro Calabrese. Sono le stesse tribù nomadi, a mostrarci come non esistano confini territoriale per rendere un pezzo d'arte comprensibile a tutto il mondo.

Safari, tribù e sciamani, sono queste le parole chiave che hanno caratterizzato la terza biennale d’arte contemporanea di Malindi in Kenya, iniziata il 30 dicembre 2010 e conclusasi lo scorso 28 febbraio.

La manifestazione, organizzata dalla Biennale di Malindi e dalla Fondazione Sarenco, ha avuto “un’anima italiana”, perché è stata curata dal noto critico d’arte Achille Bonito Oliva e dedicata al grande giornalista scomparso lo scorso 12 settembre Pietro Calabrese, che, nella sua brillante carriera nel mondo della carta stampata si occupò anche di arte come responsabile delle pagine culturali de Il Messaggero prima, e de L’Espresso dopo.
Si diceva dei quattro termini chiave che caratterizzano le opere dei 43 artisti che hanno esposto, la maggior parte di essi provenienti dall’Africa meridionale e dall’Italia, ma con rappresentanti anche di Canada, India, Cina, Europa e Giappone.
Safari in lingua araba significa “spostamento”, termine che si collega a “tribù”, nel senso di tribù di artisti contemporanei che, seppur d’estrazione geografica diversa, hanno creato una identità culturale comune per riuscire a fronteggiare il fenomeno dell’omologazione, della standardizzazione dei comportamenti collettivi influenzati dai modelli televisivi, della globalizzazione, tipici delle grandi metropoli contemporanee, soprattutto occidentali, dove questi personaggi operano.
Dunque questi artisti contemporanei da un lato sentono il bisogno di fare un fronte comune in nome della continua ricerca, nella loro opera, di un legame tra le radici delle terre dove provengono e la realtà globale circostante, dall’altro però sono come “nomadi”, portati ad aprirsi e confrontarsi con ogni realtà estetica, linguistica e sociale che incontrano, perché ognuna di esse può rappresentare una nuova avventura per il loro spirito creativo.
Realismo e tradizione dunque mescolati a sperimentazione ed avanguardia, è ciò che trapela dalle opere ammirate in questa biennale di Malindi.
Ma ogni “tribù” richiede un tessuto etico-sociale con a capo una figura esemplare che dia stimoli ed indichi delle direzioni. Il capo tribù in questo caso è rappresentato dalla figura dello “sciamano”, visibile e riconoscibile da un corpo sociale alla ricerca di nuove forme di conoscenza e di lettura del mondo contemporaneo. <<Qui sono raccolti molti artisti di molte generazioni – ha sottolineato Achille Bonito Oliva – che a livello internazionale hanno inciso non soltanto sul linguaggio ma sulla mentalità degli altri artisti. Gli artisti che hanno partecipato a questa biennale infatti costituiscono in qualche modo non solo presenze che scavalcano il presente e cavalcano il futuro, ma veri e propri modelli comportamentali di adesione critica al proprio contesto>>. L’Artista-sciamano, seppur nel rispetto della libertà di ogni individuo, svolge e, per quanto riguarda una parte dei compiti della figura storica dello sciamano: ha da sempre svolto, un ruolo fondamentale nell’evoluzione della società di cui fa parte.

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