Delle groupies ne hanno parlato un po’ tutti. Sappiamo che erano delle giovani, ma anche attempate, fans sfegatate dei gruppi rock degli anni ’60, che giravano il mondo per seguirli e facevano una vita sregolata fatta di droghe, alcool e sesso.
Con questa introduzione, potremmo avere immediata l’impressione che si trattasse di donne dai facili costumi e un po’ sopra le righe, ma va anche detto che la loro, era più che altro una scelta di vita dettata da una passione incontrollabile e da una dedizione quasi maniacale. Erano donne libere, emancipate e prive di ogni schema, facevano ciò che il loro corpo e il loro desiderio gli richiedeva e lo facevano senza costrizione, solo per amore. Potrebbe suonare quasi romantico.
Ma se andassimo più a fondo, se cercassimo di contestualizzarle in quel periodo in cui una vita sregolata e fatta di eccessi era all’ordine del giorno e in cui trasgredire voleva dire vivere a pieno la propria vita, se le analizzassimo quasi come psicologi, forse potremo guardarle con occhi diversi, forse proveremo tenerezza per la loro propensione all’autodistruzione.
In quegli anni, l’animo delle giovani rockstar di successo era inquieto, governato dal potere di una fama che non sempre si riusciva a gestire, si viveva in bilico tra momenti di euforia dettati dal successo, e momenti di forte perdizione che venivano assopiti dalle droghe e dall’alcol. In poche parole erano gli uomini di tutti, ma erano soli.
Le groupies invece erano lì al loro fianco, in ombra, entusiaste di percorrere chilometri e attraversare intere città e paesi pur di seguirli. Raggiungevano i loro idoli, e come gheishe, li cullavano nei loro momenti morti, ignare di abbracciare oltre che i loro corpi, anche un animo tendente all’autodistruzione. Se oggi parlassimo con una di loro, ci direbbe sicuramente che non rimpiange nulla del suo passato, che è stato un periodo magico. E noi non ci permetteremo mai di dire il contrario.
Quello che dobbiamo notare, è quanto a volte per seguire una passione, non ci si renda conto di cosa comprenda tutto il pacchetto, di quanto si perda la lucidità in alcuni momenti, tralasciando aspetti che forse mai avremo preso in considerazione, perché non erano stati calcolati e di certo non rientravano nei nostri piani. Queste donne seguivano i loro idoli, e per farlo dovevano accettare come compromesso, quello di impossessarsi anche della loro inquietudine di vivere, dei loro eccessi, debolezze. In poche parole per conquistarli…dovevano essere come loro.
Questo è forse l’aspetto che più fa riflettere. A cosa si è disposti pur di ottenere ciò che vogliamo. Loro, un vero e proprio fenomeno nato negli anni in cui tutto era nuovo e da sperimentare, preferivano soffocare un entusiasmo puro e spontaneo, con le sregolatezze del mondo di cui varcavano la soglia.
Purtroppo l’infelicità dovuta al troppo successo rappresentava la normalità. Avevano tutto. Erano amati, famosi e ricchi, ma questo non bastava a placare il loro “mal di vivere”, e queste gheishe rock degli anni ’60, li seguivano con occhi innamorati ma con una caparbietà che potremmo definire da guerriere. Il fatto è che quando il concerto finiva e rimanevano sole con loro, continuavano a vedere la rockstar, e non si accorgevano di avere di fronte semplici uomini, deboli e insicuri. Si dice che quando si desidera realmente qualcosa, bisogna passare sopra tutto pur di ottenerla, e loro sicuramente lo facevano, rinunciando alla loro romantica visione di inseguire il proprio idolo, dal momento che una volta incontrati, li accompagnavano cieche nel loro abisso, sprofondando insieme.