“La moda veste l’uomo, mentre l’arte mette a nudo la sua anima” Achille Bonito Oliva. E’ così che il critico racconta la sua visione di dualismo, di eterna battaglia tra ciò che si è e ciò che si appare. Una frase colma di significati, dove l’individuo è spettacolo e spettatore di se stesso e dove ognuno ha il potere di cambiare ogni qualvolta si gira la testa e si scoprono nuovi volti. Partendo da questa frase, è imprescindibile chiedersi se sia veramente così; se la moda non sia fondamentale nel riconoscere la propria anima riflessa in uno specchio e se l’abito sia veramente solo un oggetto o al contrario un enciclopedia del proprio essere.
In tanti hanno trattato l’argomento con spessore e con forte senso critico, arrovellandosi sulla questione “la moda può consideransi un arte?” oppure “ la moda e l’arte sono sue forme espressive in collisione?”; ma questa non vuole essere una critica, piuttosto una riflessione, incipit che ci porti a riflettere su quanto la nostra immagine sia legata con un nodo alla nostra anima.
Andando avanti in questo senso è inevitabile citare un’ artista che della propria apparenza contrapposta ad un identità evanescente, ne ha fatto un testamento. Si tratta di Janieta Eyre, fotografa anglo-canadese che racconta di essere nata con il retro del cranio unito a quello di sua sorella Sara, da cui fu separata all’età di sei mesi. Da allora non si è mai allontanata da “lei” che viene riflessa in ogni sua opera, come ricerca del proprio io, di un identità gemella, frutto di una copia virtuale di se. La perfezione scenica è quasi agghiacciante. Per l’artista la “facciata” di ogni persona, vestita di abiti meravigliosi, viaggia insieme all’anima, che diventa “scheletro” di ogni foto.
Gli abiti, per la Eyre, ci “travestono” e ci aiutano a interpretare il nostro ruolo nel quotidiano. Ogni immagine è una sorta di ritratto coinvolto in un panorama grottesco nel quale gli unici soggetti umani, due gemelle, con indosso originali costumi d’epoca, ci guardano con uno sguardo assente. Un viaggio perciò nel mondo di un artista al limite della follia, che grazie ad una struttura “artificiale”, sprigiona il suo “doppelgaenger”, doppio- che se ne va, o piuttosto che non è mai esistito veramente.
Continuando a percorrere questa strada, sorge spontaneo chiedersi se allo stesso modo,anche per il “fashion system”, esistano stilisti autentici che nel disegnare modelli, disegnano in realtà loro stessi; che mettono la moda in condizione di viaggiare in corsia di sorpasso e non in quella d’emergenza e che di fronte a un nuovo designer ne riconoscono l’anima, a prescindere dal gusto personale. Viene in mente a questo punto una legione di stilisti, tutti usciti dalla Royal Academy of Fine Arts di Anversa, un istituto con secoli di tradizione alle spalle la cui parola d’ordine era “moda sì, ma con una filosofia”.
Dopo il massimalismo ridondante degli anni Ottanta, ritorniamo con un balzo finalmente in avanti, al fascino del bianco e nero, all’assenza di fronzoli e ad un’ eleganza pura. Stilisti invisibili che camminano su cemento accompagnati da musica industriale, e che nonostante la scarsa presenza in pubblico e il mancato atteggiamento “iconico”, portano avanti con fierezza un incomunicabilità quasi ostentata. Non si tratta di mancanza di dialogo o di incomprensione; si preferisce mandare avanti la creatività; che parli lei al loro posto e che sia lei a farsi conoscere come prima vera anima dell’ artista.
Si tratta di Ann Demeulemeester, il quale senso di isolamento viene spezzato dal rumore dei tacchi delle pesanti scarpe nere indossate da esili e androgine modelle; ancora Martin Margiela, maestro del riciclaggio e della destrutturazione dell’abito, la sua etichetta è un semplice pezzo di stoffa bianca; e andando avanti Dirk Bikkembergs, Thimister e Dries Van Noten.
In conclusione, la cosa fondamentale è che l’ idea è l’anima che muove questi artisti, che non c’è, come per la Eyre contrapposizione tra essere ed apparire, dualismo o lotta, ma solo un profondo legame inscindibile. Senza questo legame tutto si scioglierebbe come un ghiacciolo al sole e nulla avrebbe più senso. E’ questo il mezzo che permette di infischiarsene dell’essere “up to date”, o fuori dal business. E’ qui che l’arte diventa moda e la moda diventa arte. E’ in questi casi che le discipline che esaltano il bello, non futile, ma dell’idea si miscelano e ne esce una pozione vincente. Ed è sempre qui che il “doppio” diventa unico e non c’è alter ego che tenga.