The Un-Visible Man

Liu Bolin è un artista cinese, nato a Shandong nel 1973. Il lavoro che lo ha reso famoso nel mondo, Hiding the city, è ora esposto alla Eli Klein Fine Art di New York. Si tratta di fotografie - autoritratti nello specifico - molto particolari, all’interno delle quali Liu si mimetizza. Si posiziona nel punto specifico dell’inquadratura per poi farsi dipingere e fotografare secondo le forme e i colori dell’ambiente fino a ‘scomparirci’ dentro.

“Alcuni mi chiamano l’uomo invisibile, ma per me è proprio ciò che in una foto non si vede che a raccontarne davvero la storia.”

Liu Bolin è un artista cinese, nato a Shandong nel 1973, diplomato presso il dipartimento di scultura della prestigiosa Accademia d’arte di Beijing, un tempo membro del partito comunista (del comunismo condivide i principi fondanti, ma non le sue deviazioni) e la sua è una storia un po’ diversa da quelle degli artisti di oggi.

Il lavoro che lo ha reso famoso nel mondo, Hiding the city, è ora esposto alla Eli Klein Fine Art di New York. Con la sua opera vuole esprimere una silenziosa ma forte protesta contro la persecuzione degli artisti che, come lui, facevano parte della scena culturale di Pechino nei primi anni’90, già all’epoca non vista di buon occhio dalle autorità locali per il suo spirito critico verso la politica governativa, e che hanno letteralmente assistito alla demolizione dei propri spazi abitativi – creativi nel 2005 diventando degli homeless a tutti gli effetti. Il suo lavoro artistico è quindi espressione di una personale preoccupazione, di un disagio realmente vissuto.

Si tratta di fotografie – autoritratti nello specifico – molto particolari, all’interno delle quali Liu si mimetizza. Si posiziona nel punto specifico dell’inquadratura dove passano più linee possibili, ossia le linee guida dettate dall’architettura nella quale vuole confondersi: le scale di un tempio, un cumulo di tronchi, le fitte file di alberi in un bosco, per poi farsi dipingere e fotografare secondo le forme e i colori dell’ambiente fino a ‘scomparirci’ dentro. Rimane immobile e in piedi anche per sette ore aspettando che i suoi pittori (che lo seguono sempre con pesanti valigie piene di colori) lo rendano invisibile, il tutto senza nemmeno accennare all’utilizzo di Photoshop.

Nonostante il messaggio possa apparentemente sembrare leggero guardando le foto, per l’artista è una vera e propria denuncia contro lo stato e, più in generale, contro il sistema.

L’uomo sta scomparendo nel suo ambiente dimenticandosi i valori sacri e fondamentali; l’indifferenza verso il prossimo si traduce quindi nella sparizione dell’artista in qualsiasi luogo che, proprio come l’individuo comune, comincia a confondersi con il paesaggio, scompare e diviene invisibile agli altri. Egli stesso vede gli altri come presenze superflue.

In Cina, dove sono state scattate appositamente le foto per denunciare in particolare la situazione dell’attuale società, l’ideale comune è che ‘uno in più è troppo e uno in meno è troppo poco’ quindi il singolo, l’individuo appunto, non rappresenta alcuna differenza rilevante per l’ambiente circostante; in Hiding the City è infatti presente, solo che, dissolto nel paesaggio, s’intravede a malapena.

Bolin è camaleontico, non solo perché in grado di mimetizzarsi nelle proprie foto, ma anche per la sua capacità di utilizzare diverse tecniche in modo sempre sorprendente e insolito: la fotografia, la pittura, la scultura.

“La prima cosa che ho studiato è l’arte. Il talento è secondario; l’arte è primaria”. Per Bolin ciò che importa è l’idea, il concetto. L’oggetto è solo il mezzo per esprimere l’idea, perciò sceglie il mezzo (la tecnica) d’espressione più adatto per lo specifico messaggio che vuole comunicare.

[ph http://v1kram.posterous.com/liu-bolinthe-invisible-man]

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